Vorrei raccontarvi una storia, la storia di una società che si crede libera nonostante viva in una prigione. Questa è la storia di un vecchio e di una bambina che si incontrano in una prigione. Questa storia inizia così…
Dei giovani si risvegliano misteriosamente fra le mura di un carcere, completamente privi di memoria. Inizialmente tutto gli appare strano, confuso, ma dopo poco tempo capiscono che l’unica possibilità che hanno per sopravvivere è cercare di adattarsi alla situazione per tentare, solo poi, di capire quel che è successo. Dopo aver preso un po’ di confidenza con il luogo e le persone, vengono a sapere che fra i detenuti si tramandano storie su alcuni prigionieri evasi grazie alla scoperta di una via di fuga. I prigionieri più anziani sostengono però che queste storie sono solo leggende che passano di bocca in bocca da tempi immemori. Prova né è il fatto, dicono, che da quando loro sono rinchiusi lì dentro nessuno è mai evaso, e nemmeno i vecchi prigionieri, ormai morti da tempo, dissero di aver conosciuto personalmente un solo uomo riuscito a fuggire.
Dopo aver ascoltato queste parole, fra i nuovi arrivati nascono differenti opinioni in proposito. Per qualcuno i vecchi devono aver ragione: queste storie sono solo dei miti creati per sopportare meglio una condizione difficile. Per altri, il fatto che i detenuti più anziani non abbiano mai conosciuto nessun evaso non significa che effettivamente nessuno sia mai riuscito a fuggire, pertanto potrebbe anche esistere una via di fuga.
Nel frattempo i mesi trascorrono e, vivendo fra le mura della prigione, i nostri giovani iniziano ad accorgersi delle spaventose disuguaglianze e violenze che i detenuti sono costretti a subire o che essi stessi si infliggono. Un giorno, mandati a risistemare delle stanze del terzo piano dell’edificio carcerario, sentono delle grida terrificanti provenire dal fondo di un corridoio. Accorrono immediatamente per vedere cosa stia accadendo, e attraverso le strette inferiate della porta blindata riescono ad intravedere una moltitudine di prigionieri ammassati in un’immensa celle maleodorante. Un uomo emaciato e sudicio si avvicina alla feritoia e con un filo di voce racconta: “Veniamo lasciati senza cibo e con pochissima acqua per giorni, veniamo costretti a lavorare anche diciotto ore al giorno per produrre cose che serviranno poi ad altri, e se non ubbidiamo ci lasciano qui a morire di stenti”.
Indignati e allo stesso tempo impauriti, i giovani decidono che qualcosa deve essere fatto, qualcuno deve fermare questa follia: serve una rivoluzione. Ma non sanno da dove iniziare e non conoscono ancora bene le cause e i meccanismi di tutto ciò. Dopo questo primo sconvolgente incontro, il gruppo viene mandato a svolgere altri lavori al primo piano del penitenziario, dove scoprono, con immenso stupore, che lì i prigionieri hanno a disposizione immense stanze sfarzose, oggetti di lusso, beni d’ogni sorta, e per di più sono liberi di muoversi quasi ovunque all’interno della struttura. Scoprono poi che questi uomini consumano tutto ciò che i prigionieri del secondo e del terzo piano producono, ma nonostante ciò sono costantemente in lotta fra loro per cercare di accaparrarsi ogni cosa. In tutta questa follia i secondini svolgono la funzione di controllori facendo in modo che tutto ciò si svolga entro i limiti e nei modi che i direttori hanno stabilito. Anche i secondini hanno grande libertà di movimento e un certo potere, ma i nostri malcapitati vengono a sapere che nemmeno questi sono mai usciti dalla prigione. Infine scoprono che il carcere non è governato da una sola persona, ma da più individui che esercitano il loro potere rispettivamente in diversi settori del penitenziario. Ogni direttore comanda un gruppo fedele di guardie che risponde unicamente ai sui comandi, e un altrettanto folto gruppo di prigionieri. Alcuni direttori raggiungono la loro posizione per autoproclamazione, grazie a gruppi di detenuti istigati a ribellarsi all’ordine precostituito e/o con l’appoggio di guardie persuase e ispirate dalla loro arte retorica. Altri accedono alla loro carica tramite elezioni, dette libere, nelle quali un discreto numero di prigionieri e guardie sceglie fra una rosa di nomi che vengono loro imposti dal precedente direttore e dai suo collaboratori più vicini. I nostri giovani scoprono in fine, con sommo sgomento, che nemmeno i direttori sono mai usciti dalla prigione, anzi, sono fra quelli più inconsapevoli del fatto che tutto ciò che avviene accade fra delle alte e spesse mura.
Dopo aver visto e compreso tutto ciò, il pensiero della necessità di agire in qualche modo cresce sempre più fra i giovani, iniziano così ad aprirsi accesi dibattiti. Sono tutti d’accordo sul fatto che la situazione sia insostenibile, ma ognuno crede che si possa risolvere in un modo differente.
Qualcuno vuole attuare una rivolta e sovvertire l’ordine precostituito per portare benessere e uguaglianza a tutti. Chi sostiene questa tesi afferma: “Dobbiamo avere il controllo più totale su ogni cosa e persona. Quando avremo il comando assoluto potremo dividere equamente tutto, in modo che nessuno abbia di più o di meno. Solo così potremo fermare questa vergognosa disparità di trattamento, solo così potremo domare la folle logica di dominio e sfruttamento che regna in questo luogo”.
Qualcun’altro suggerisce che potrebbero semplicemente cercare di fare in modo che le regole della produzione e dello scambio delle merci e dei beni prodotti divengano libere, consentendo così pari opportunità d’iniziativa per tutti.
Qualcuno infine sostiene di voler eliminare tutti i vertici del potere per potersi porre personalmente alla guida e al comando. Afferma che solo quando un uomo forte e carismatico ottiene l’assoluto controllo della situazione, la giustizia e la libertà possono divenire il bene di tutti.
Quando ormai questi discorsi stanno per degenerare in una zuffa collettiva, un vecchio detenuto, da tutti chiamato “Il Matto”, interviene dicendo: “Siete qui da così poco tempo e già vi siete lasciati ingannare dalle ombre del potere. Vi siete già perduti fra le mille lotte che accadono in questo pollaio. Avete già assimilato il comportamento e il pensiero di tutti coloro che vivono qui da sempre, dimenticando che l’unico sforzo per cui valga la pena spendere energie consiste nel tentare di scoprire se esista o meno una via di fuga. Vi rendete conto che dopo un così breve tempo vi siete già scordati d’essere in una prigione, e che per quanto tentiate di sistemare le cose qui dentro rimarrete ugualmente confinati fra quattro mura? Ormai ho visto accadere milioni di rivolte, ho ascoltato migliaia d’ideologie, filosofie, teorie, e non sono mai servite a nulla. Ho visto
salire al potere spietati dittatori, volenterosi riformatori, ipocriti presidenti, illuminati legislatori, pagliacci e giullari, ma non è mai servito a nulla.
Ho sentito qualcuno di voi dire che si potrebbe sovvertire l’ordine attuale per instaurare una sorta di totale condivisione dei beni e dei valori. Ma questo stato sociale com'è attuabile se tutt’intorno a voi vivono e crescono uomini desiderosi di potere e controllo? Ci vorrebbe un governo capace di controllare in continuazione che nessun ricominci ad accaparrarsi potere e privilegi più di altri. Per fare ciò un governante dovrebbe quindi tenere costantemente sotto controllo tutto e tutti, reprimendo nel sangue, immediatamente, ogni forma di ribellione. Ma a chi affidereste serenamente un potere così grande? Credete forse che vi siano uomini migliori di altri, capaci di non abusare mai dell’immenso potere che avrebbero fra le mani? Ho sentito dire molte volte, poi, che il potere corrompe, ma vi assicuro che non è così. Credo, più che altro, che il potere corrompa chi porta già in sé i semi della corruzione. Spesso, però, scopriamo l’animo di un uomo solo quando questo può esercitare una qualche forma di potere. Il potere è, pertanto, solo una specie di riflettore che mette in evidenza ciò che persino a noi stessi è sconosciuto. Il potere è energia, e come ogni forma d’energia non è ne buono ne cattivo, tutto sta in ciò che noi ne facciamo, in come la utilizziamo. Ma voi credete che vi siano uomini coscienti di quali semi stiano silenti nei loro cuori pronti per sbocciare? Siete così illusi da ritenere di conoscervi abbastanza e di potervi fidare di voi stessi?
Ho sentito poi qualcuno sostenere che basterebbe offrire a tutti una qualche possibilità d’iniziativa. Ma non credete che anche in questo caso avremmo una serie di disuguaglianze sociali che facilmente sfocerebbero in un conflitto? Non credete che i più astuti e forti tenterebbero sempre e comunque di dominare i più deboli e ingenui? Voi potreste anche dirmi che se tutti partecipassero con il loro voto all’elezione di coloro che poi dovrebbero regolamentare il gioco all’interno dei criteri più diffusi di giusto e sbagliato, morale e immorale, legale e illegale, potremmo ottenere un discreto equilibrio sociale. Mio dio, forse, ora come ora, non possiamo aspettarci di più, ed è anche quello che in una discreta parte di questa prigione sta avvenendo. Ma non vedete come ben poco sia cambiato, e come si sia solo ottenuto che il gioco vada, via via, complicandosi ed esasperandosi?
I poteri che cercano di avere il controllo e il dominio non sono svaniti ma si sono solo fatti più sofisticati e occulti, e quando un potere agisce sotterraneo può divenire ben più pericoloso di una vecchia, quanto ormai banale, dittatura. Le dittature d’un tempo esercitavano un controllo grezzo attraverso la repressione fisica, grazie alla maggiore potenza che gli apparati di polizia e militari avevano nei confronti dei vari gruppi antagonisti al potere, ma ora non è più così. Dietro a paroloni roboanti si nascondono ben più delicate e perfezionate forme di controllo. Dietro tutto questo cianciare di libertà ed uguaglianza si nasconde un controllo della mente, esercitato grazie alla pressione emotiva, alla distorsione dei fatti e allo stravolgimento del significato delle parole. Amici miei, siamo al cospetto di una ben più pericolosa dittatura mascherata dietro le sembianze di un agnellino. Non capite che gli uomini sono sempre gli stessi, e che se non cambia l’animo umano, la sua educazione e le forme della sua cultura, non cambierà mai nulla?
L’unico modo che ha il potere per governare e limitare la libertà dell’individuo e riuscire a paralizzare il libero pensiero e l’autonomo giudizio. Chi agisce solo, libero nel cuore e nella mente, privo di paura, non può essere manipolato, controllato, spinto a procurare il male d’altri per l’interesse di qualcuno. L’uomo che cammina sicuro e solitario è una forza che contagia del suo spirito tutti coloro che incontra, ma non per imposizione, ne per persuasione, ma semplicemente grazie a quell’innata e spontanea capacità di riconoscere il Vero che in ognuno di noi riposa. Questa è la più potente e sconcertante ribellione che sta per accadere. I tempi sono maturi, gli uomini sono ormai sufficientemente disillusi e nauseati da tutto il falso che si sono costruiti attorno.
Quando non vedrete più nessuno salire su di un palco e gridare a folle osannanti, ma troverete solo individui seduti in cerchio conversare acutamente, prendendosi lunghe pause di riflessione per ogni dubbia questione, allora potremmo dire d’esser degni di quella parola così impunemente pronunciata, perché solo allora potremo dire che il tempo dell’Essere Umano è venuto.
A questo punto, uno dei giovani prigioniere interrompe bruscamente il vecchio affermando: “Quel che tu stai dicendo non ha alcun senso. Non esiste nessun fuori da qui e nessuna libertà, se non quella che possiamo conquistarci qui dentro. Nessuno ha mai visto cosa c’è oltre queste mura, nessuno è mai uscito da qui, nemmeno i direttori e i secondini. Sono ormai convinto che questa storia della libertà sia tutta una menzogna inventata da coloro che non sanno come sopravvivere a questo gioco”. Dopo aver ascoltato attentamente queste parole il vecchio Matto risponde: “So che molti di quelli che sono qui dentro da più tempo hanno addirittura eretto statue con i volti di quei pochi che si dice siano stati capaci di evadere. Hanno anche eretto dei templi in loro onore, ove predicano e profetizzano che un giorno torneranno per liberarci tutti. Ma se ora ti dicessi che io esco e rientro da qui quando e come voglio, tu cosa mi risponderesti? Se ti dicessi che tutto ciò che vedi non è come tu ora lo credi?”. Il giovane ridendo a crepapelle risponde: “Ora capisco perché ti chiamano il matto: vecchio rimbambito che non sei altro!”. Il vecchietto, senza un’ombra di risentimento sul volto replica: “Posso anche dirti di più. Io parlo con voi solo per vedere se v’è qualcuno pronto a seguirmi, non ho altri fini”. Il giovane, spiazzato da tanta risolutezza, riprende il dialogo con parole nuove: “Ma dov’è questa uscita di cui parli, e cosa m’attende otre i cancelli? Io non ne posso più di quel che accade qui dentro, ma se ciò che esiste fuori fosse anche peggio di quel che ho conosciuto qui? Chi mi assicura che tu non stai solo cercando di ingannarmi?”. A questo punto una ragazzina spunta dal fondo del gruppo e guardando dritta negli occhi del vecchio, con voce esile e dolce dice: “Io ti credo perché non vedo alcun senso in tutto ciò che questi uomini combinano qui. Nessuno vuole giocare con me, nessuno ride più. Sino a poco tempo fa trascorrevo le mia giornate in compagnia di alcuni bambini, ed eravamo sereni, ma ormai anche loro hanno iniziando a parlare delle stesse cose di cui parlano questi noiosi signori qui. Da allora non ridono più, non giocano più, non scherzano più. Dimmi sola una cosa, nonnino matto. Si può giocare in quel posto da cui tu dici di venire? E la gente ride o è triste come qua?”. Il vecchio, a questo punto, con le lacrime agli occhi risponde: “Piccola mia, nel posto in cui ora noi andremo l’unica cosa che si farà per tutto il tempo sarà ridere e giocare, perché in quel luogo la gente non ha mai smesso di amare”. A questo punto la ragazzina, con un enorme sorriso e con occhi colmi di meraviglia, chiede: “Nonnino mostrami come si fa ad andare in questo luogo, perché qui non v’è più nulla che mi trattenga”.
I vecchietto ora prende un pennarello nero dalla sua tasca e scrive delle parole sulla maglietta bianca della piccina, poi dice: “Bambina mia, per arrivare in questo luogo non devi fare nemmeno un passo perché ci sei già, devi solo rispondere ad una domanda”.
“Dimmi pure nonnino”, afferma la bimba, e il vecchio riprende: “Come può un passero fuggire da una gabbia che non esiste?”. La bambina risponde: “Basta che provi a volare”. Il vecchietto: “Ma se è convinto che la gabbia sia vera e ormai non tenta nemmeno più di volare, cosa si può fare?”. La bambina riflette per qualche istante e poi dice: “Basta fargli prendere paura, magari con un colpo simile a quello di un fucile, così il suo vecchio istinto lo spingerà a volare nonostante l’inganno in cui è caduto il suo pensiero”.
A questo punto il vecchietto, con un gesto fulmineo, estrae una pistola dal suo giaccone e spara alla bambina in piena fronte.
Tutta sudata e tremante dal terrore, Sara salta in piedi dal suo letto, apre velocemente la finestra della sua camera e, stupendi, i primi raggi del sole le illuminano il viso. Si rincuora poi vedendo le maestose querce del parco giochi di fianco alla sua casa, dove va sempre con i suoi fratellini dopo la scuola. L’odore del caffè e dei biscotti appena fatti ora sale dalla cucina da dove sente le voci della sua mamma e del suo papà che stanno parlando. È una stupenda domenica di primavera, tutto è silenzioso e in pace. “Che terribile incubo ho avuto”, pensa fra sé. Si, perché è stato tutto solo un sogno, ed ora, tornata alla realtà va in bagno per lavarsi il viso, ma appena getta un rapido sguardo allo specchio compie un balzo all’indietro vedendo sulla sua camicetta da notte bianca una scritta fatta con un pennarello nero: “Prova sempre a volare perché i limiti sono solo illusioni della tua mente! Con amore, il tuo Nonnino Matto”.
Pier
Commenti
Un grane abbraaccio a te, caro Dadrim!
complimenti ancora
grazie Dadrim!
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