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Morte, lutto ed eternità

Il medico che cura la morte

Sara ha scritto: Ciao Pier, stavo leggendo la tua risposta alla signora che ha perso suo figlio (clicca qui per leggere la risposta). Mille pensieri di tutti i tipi hanno iniziato a riempirmi la mente e improvvisamente i crampi allo stomaco, fortissimi. Che mi è successo?

Pier ha scritto: Devi chiamare un medico: il medico che cura la morte! Molto probabilmente il dolore allo stomaco che percepisci è la sana risposta di chi legge e sente profondamente le cose senza limitarsi ad ascoltare e basta. Se prendiamo seriamente la questione vita-morte, in principio è inevitabile sentire paura e dolore fisico o psichico. Bene, perché solo prendendo seriamente qualcosa abbiamo anche il coraggio e la forza di portarlo a compimento. Se qualcosa non ci scuote, di norma ce ne freghiamo. Certo, leggiamo, riteniamo anche di aver capito, ma tutto si limita ad una faccenda intellettuale. Diversamente, se si persevera nell'indagare la realtà dei fatti con il cuore, con la totalità di noi stessi, con quell’urgenza che nasce quando si comprende che saremo noi a morire realmente fra non molto, un po' alla volta si emerge dal mondo della paura. La mente è sempre aggrappata al passato, per questo teme la fine e il cambiamento come la peste. Ma noi siamo il passato? Siamo i pensieri e le emozioni relati allo ieri o al domani? Abituarsi a prendere distanza da ciò che non è “mio” e non sono “io” è l'inizio del vero equilibrio, della scoperta di ciò che è reale, della pace fra il dentro e il fuori. Quel ragazzo è morto, ma noi sappiamo chi era veramente quel ragazzo? Se lo crediamo un corpo allora è morto totalmente, ed anche se fosse totalmente morto, la madre per chi soffre? Per lui? Per qualcosa che non esiste più e perciò non può nemmeno più soffrire? Ovviamente no! Soffre per se stessa, per tutto ciò che aveva proiettato sul figlio come necessario al suo benessere psichico, per ciò che sente di non aver completato, detto o fatto. Ma tutto questo ci riporta unicamente alla vita, e cioè alla pacificazione che deve fare in sé la coscienza della madre.

Tornando al giovane, se non è solo un corpo, allora la questione cambia notevolmente. Come fare per rispondere a questa domanda? Dobbiamo scoprire chi siamo noi, non abbiamo altre vie. Al giovane non si può più chiedere nulla, come a tutti coloro che hanno lasciato questo mondo. Ma noi tutti non siamo fatti della medesima sostanza? Per scoprire cosa significa morire, abbiamo solo una strada: conoscere la nostra essenza. Ma come fare? Prendendo le distanza da tutto ciò che non è "mio" e non sono "io", avvicinandomi così sempre più al cuore della vita che è in me. Unicamente quando si entra nel cuore della Vita si può dire cos’è la morte, se esiste qualcosa di incorruttibile o se tutto è destinato all’annientamento, non certo prima, attraverso i sentito dire o le fedi variegate e mutevoli della gente. Ma cosa non siamo? Il corpo lo percepisci, la mente la percepisci, i pensieri vanno e vengono, in trenta anni ogni cellula del tuo corpo si è rinnovata, anche più volte, praticamente non hai mai avuto un corpo, ma un processo biologico in continuo cambiamento. Cosa non è mai cambiato? La tua possibilità di percepire, di sperimentare. Ciò che sperimenti cambia in continuazione, ma quell’essenza che permette ogni sperimentazione cos'è, chi è, è mia cambiata, ha sesso, ha età, e dipendente dalla mente, dai processi biologici e neuronali? Non possiamo dire si o no senza averla indagata, ricercata, incontrata, sentita e osservata. Ma per fare ciò dobbiamo avere la capacità di staccarci del flusso delle esperienze, dei pensieri e delle emozioni, per rimanere unicamente alla radice, alla presenza della nostra essenza. Per fare ciò è necessaria la voglia di scoprire e la costanza nell’indagare. Bisogna volersi conoscere più del voler avere e godere le cose del “fuori”. Non dico che non si debba godere e volere, ma se tutto ciò è più potente del nostro voler scoprire, comprendere ed andare verso l’essenziale, sarà tutto vano. Non si possono fare due passi a nord e due a sud. Magari si possono fare tre passi a nord e due a sud, ma questo è un’altra faccenda. Di norma non prestiamo mai attenzione alla nostra essenza, non stiamo mai in compagnia di noi stessi perché siamo troppo coinvolti dai mutamenti esterni, vi siamo troppo identificati, troppo interessati. Crediamo che la nostra vita sia in pericolo se non lottiamo, se non elaboriamo ed espandiamo la nostra immagine personale, la nostra posizione sociale. La cara amica morte è lì proprio per negare tutto ciò. Possiamo elaborare quanto vogliamo, espanderci più di Napoleone, ma alla fine tutto resta qui. Con noi cosa portiamo? La nostra essenza, che nel fare e nel vivere quotidiano si manifesta come coscienza, è sempre presente, ma paradossalmente mai evidente. Non siamo consapevoli di chi o cos’è cosciente. In sostanza ci interessiamo di tutto tranne che di noi stessi intesi come realtà essenziale, e questo è il principio di ogni sofferenza, di ogni alienazione. È un po' come se ti chiedessi che sapore ha la tua lingua. Nessuno, mi diresti, eppure quel “nessuno” è ciò che ti permette di percepire ogni cosa: senza quel “nulla”, nulla sarebbe percepibile. Sapere che la tua lingua può tutto proprio perché è libera da ogni contenuto ti rende estremamente felice e serena, mai dipendete da alcun gusto, poiché sai che sempre potrai sentire, gustare ed essere il potenziale di ogni nuovo sapore. Ma se tu dimenticassi che la tua lingua ha il sapore della "libertà" ecco che forse potresti iniziare a pensare che con il finire dell'assaporare un dolce la tua possibilità di percepire i cibi morirebbe. Allo stesso modo, interiormente, non essendo presenti alla natura libera e profonda della nostra essenza, ogni volta che finisce una relazione, qualcuno muore o noi stessi siamo prossimi al trapasso, iniziamo a ritenere che tutto sia destinato a finire fra le fauci dell'annientamento. Iniziamo a credere l'esistenza un vano spettacolo o un atroce luogo di strazianti addii e sofferenze. È l'inconsapevolezza dell'essenza che deforma ogni percezione. Dovremmo divenire tanto consapevoli dei sapori quanto del "dolce" vuoto di sapori che è l'essenza del potere racchiuso nella nostra lingua. Dovremmo divenire tanto consapevoli delle relazioni e delle cose del mondo quanto dell'infinito Essere che sta alla base di ogni esperienza, che è il fondamento di ogni vera felicità e nuova possibilità. Ma per attingere a questa consapevolezza non si può avere sempre qualcosa in bocca, non si può temere di deglutire e così digerire le cose del mondo, morte compresa! Completa la tua digestione, non tenerti tutto sullo stomaco, poi ti viene mal di pancia! Spero che la cura sarà efficace.

Un caro abbraccio,

Pier

Tags: Sofferenza, Aiuto psicologico, Equilibrio interiore

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