Che cosa è la meditazione
Antonella ha scritto: Salve Pier, mi piacerebbe sapere che cosa è per te la meditazione.
Pier ha risposto: Cara Antonella, la parola meditare deriva dal latino “mederi”, che significa curare. Ciò ci fa capire come nell’antichità la meditazione coincidesse con un’azione curativa che poteva riguardare sia il corpo che l’anima. La cultura occidentale ha poi lentamente abbinato questo termine unicamente all’attività del pensiero rivolto al corpo, perdendo così il collegamento con il ben più importante significato che sta nell’azione globale di cura della persona. Oggi la parola meditazione viene usata in molti modi. Vi sono però due insiemi principali e ben distinti in cui si può inscrivere il significato di meditazione. Uno è l’insieme formato, come dicevo, dall’interpretazione occidentale, dove la meditazione è un’azione del pensiero focalizzata su di un oggetto o più, atta a sviscerarne i segreti attraverso la riflessione.
L’altro insieme è formato dalla concezione orientale. In questo caso il termine italiano meditazione traduce la parola d’origine sanscrita Dhyāna (jhāna in lingua pāli) che letteralmente significa “visione”. Dalla traslitterazione della parola dhyāna derivano i termini Chan, in cinese, e Zen, in giapponese. Da ciò si comprende come in oriente la parola dhyana sia la radice stessa del pensiero mistico, spirituale d’intere tradizioni. Evitiamo ora di parlare delle molteplici concezioni di “dhyana” in oriente poiché anche queste sono tante e non credo che si trovino facilmente due persone concordi su di una medesima definizione. L’unica cosa che accomuna tutte queste letture del fenomeno “dhyana” è l’idea che questa parola indichi uno stato mentale, dell’Essere, o come lo si voglia chiamare, capace di limpida percezione del reale. “Dhyana” indica uno stato dove i pensieri e le emozioni non interferiscono più con l’umana percezione dei fenomeni sia interni che esterni alla persona. È da qui, infatti, che nasce l’idea di una consapevolezza simile a uno specchio, cioè capace di riflettere le cose senza distorcerle. Se prendiamo per buona questa mia sommaria e rozza definizione di meditazione, vista all’interno di due paradigmi totalmente opposti, ci rimane da definire quale delle due letture sia corretta. Dal mio punto di vista sono entrambe corrette, importante è però capire a cosa porta una e a cosa l’altra. Se per meditazione intendo qualcosa di finalizzato alla cura dell’anima, ecco che la concezione occidentale non è pertinente. Se invece intendo qualcosa di rivolto alla cura del corpo fisico o alla risoluzione di tutti quei problemi d’ordine pratico che la dimensione materiale umana comporta, ecco che l’utilizzo della parola “meditazione” occidentale è più che corretto. La meditazione occidentale esprime l’azione analitica del pensiero che si concretizza nella comprensione delle leggi fisiche del mondo fenomenico. L’idea di meditazione orientale, invece, è un’azione che parte sempre dal pensiero, ma unicamente per spingersi sino al punto in cui l’attività analitica del pensiero giunge a termine. Questa azione si realizza con la sperimentazione di uno stato interiore di fusione con la vita, col divino, con l’Essere o come lo si preferisce chiamare. Alla base di entrambi questi due fenomeni v’è l’azione della consapevolezza individuale, pertanto ciò che è rilevante è comprendere come “funziona” la nostra consapevolezza.
Come ho già detto in altri momenti, la nostra consapevolezza è ciò che ci permette di conoscere qualsiasi cosa. È come la luce di una lampada che quando viene puntata verso un oggetto lo illumina permettendoci di farne esperienza. La nostra consapevolezza può concentrarsi su spazi sempre più ridotti del mondo fenomenico o del nostro mondo interiore. Quando si concentra sul mondo fenomenico da vita alle conoscenze scientifiche, quando si concentra sul nostro mondo interiore da vita alle conoscenze umanistiche.
La nostra consapevolezza, però, può anche non concentrarsi su di un oggetto specifico e lasciarsi espandere indefinitamente sino a giungere a uno stato di autoconoscenza, o sarebbe meglio dire a una stato di “essenza”, là dove giunge a sperimentare la sua stessa natura, libera da concetti, desideri, emozioni e turbamenti. Questa è la dimensione della vera spiritualità, la conoscenza del misticismo. Ricapitolando abbiamo quindi: le scienze oggettive (fisica, chimica, biologia, matematica, geometria…), le scienze umanistiche (psicologia, filosofia, antropologia…) e l’esperienza o scienza mistica. Tutte queste tre dimensioni del sapere umano hanno come fondamento il fenomeno della consapevolezza. Quando la consapevolezza si muove verso il mondo delle cose da origine alla prima forma di sapere, quando si muove dentro gli spazi della psiche umana da vita alla seconda branca di sapere, quando “smette di muoversi” sperimenta la sua stessa natura, quella che gli orientali chiamano sat-chit-ananda, termini i cui significati sono rispettivamente: “essenza”, “consapevolezza” e “beatitudine”. La meditazione intesa in questo ultimo modo rende giustizia al termine latino mederi (cura), poiché in questo stato ogni nostra sofferenza interiore trova la sua estinzione, la sua cura.
Molti confondono la meditazione con le pratiche tipiche dello yoga o di altre discipline. Queste pratiche sono dei mezzi di purificazione, di catarsi, di scioglimento ed eliminazione delle tensioni che quotidianamente accumuliamo, ma non sono meditazione. Meditare significa comprendere e permanere in quello che è lo stato proprio al termine dhyana, e cioè in un’attenzione vigile e passiva. Se questa distinzione non è chiara tutto si rivela inutile. Sarebbe come svuotare un secchio che rimane sempre sotto una cascata. La cosa saggia è prima svuotare il secchio, cioè praticare delle attività liberatorie, ma poi portarlo al coperto per evitare che si riempia di continuo, e questo lo può fare solo un’osservazione passiva e vigile di tutti quei fenomeni che costantemente si agitano in noi e di cui non siamo per nulla coscienti.
Per me la meditazione intesa come “dhyana” è l’unica cura possibile per tutti i nostri mali interiori, e consiste nell’imparare a vivere liberi dal nostro intero passato, per poter semplicemente Essere.
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