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Libera-mente Dadrim

Secondo passo: desidera solo ciò che ha valore

Tramonto

Adelaide ha scritto: Mi piacerebbe comprendere con precisione cosa intendi per “indagine esistenziale” e con i termini “reale” e “irreale”. Insomma, potresti parlarmi ancora una volta e se possibile ancor più dettagliatamente della natura umana e della sua possibilità di realizzazione?

Un abbraccio,
Adelaide

Pier ha risposto: Premetto che al di là delle più o meno belle e adeguate parole che si possano usare, la vita nella sua essenza sarebbe una “questione” molto semplice se la consapevolezza della maggior parte delle persone non fosse sepolta da strati di condizionamenti che provocano una percezione distorta della realtà, generando una visione frammentata e colma di paure, dove umanità, amore e libertà, nel migliore dei casi sono solo vuote parole o confuse aspirazioni.

Ne consegue che ogni uomo deve compiere un “grande viaggio interiore” per passare dall’irreale al reale, dall’ignoranza alla saggezza, dalla schiavitù alla libertà. Spiritualità o per l’appunto ‘indagine esistenziale’ è il nome che dò a tutto ciò che riguarda questo “grande viaggio”, dove ‘irreale’ è la frammentazione che caratterizza il pensiero della mente umana con tutta la sofferenza che ne deriva, anche se ciò non significa che questa non esista. ‘Irreale’ infatti non significa inesistente, ma “dato da una percezione parziale, frammentata, non completa”, pertanto lo riferisco unicamente a quelle elaborazioni che il pensiero sovrappone ai fatti del mondo esterno e interno al soggetto, ma di tutto ciò ne parleremo più chiaramente fra poco.

La maggior parte di noi rimane per tutta la vita confinata nel mondo delle idee e della credenze, senza mai riuscire a sperimentare interiormente e indubitabilmente la reale sostanza che indicano parole come amore, Dio o libertà. Spiritualmente ci nutriamo di vuote parole, un po’ come se a pranzo mettessimo sul piatto dei bigliettini con scritto “pasta, minestra, verdura”, e poi ce li mangiassimo pure con soddisfazione. Il guaio è che con le parole si può soddisfare solo la mente mentre il corpo muore. Allo stesso modo, pensando e parlando d’amore, di Dio, di libertà e pace, soddisfiamo esclusivamente la “testa” mentre lasciamo “morire di fame” il corpo essenziale, la natura più profonda e vera della nostra coscienza. Ne consegue che il compito fondamentale di una seria indagine esistenziale sta nell’aiutare l’essere umano a conoscere se stesso per ciò che è realmente e non per ciò che pensa o desidera essere. È vitale distinguere ciò che in noi è reale e fondamentale da ciò che è illusorio e superfluo. Perciò non è tanto una questione di “corretto uso e significato” delle parole ma un questione di “diretta e inconfutabile sperimentazione” della realtà che dovrebbero indicare termini e proposizioni.

Se un uomo vive chiuso in una cella è vano spiegargli il senso delle parole cielo, mare o libertà. È inutile raccontagli quanto belli siano i tramonti e le onde che si frangono sugli scogli. L'unica cosa assennata da fare, se lo si vuole aiutare veramente, è spiegargli come evadere e dove recarsi per avere una pina e reale esperienza del mare e delle onde tuffandosi ed immergendosi personalmente.

Partendo da queste premesse ritengo che la prima domanda rilevante che ci dovremmo porre sia: “Perché soffriamo?” Se ci osserviamo con alma e obbiettività la risposta emergerà lapalissiana: soffriamo perché non ci conosciamo veramente, perché riteniamo di essere quel che non siamo e ignoriamo quel che realmente siamo. Siamo convinti d’essere entità mortali, scisse dal “corpo” indiviso della vita, intrinsecamente mancanti, di conseguenza perennemente bisognose di qualcosa e qualcuno.

Ritengo sia una fatto il nostro essere alla costante e spesso frustrante ricerca di qualcosa che ci faccia sentire completi, significanti, paghi, desiderati, voluti, non frutto del caso o soggetti ad un destino avverso. Cerchiamo così fra le cose e le persone amore, felicità, sicurezze, promesse e progetti duraturi. Questa ricerca, come una delle più salde e incontrovertibili leggi della fisiche, approda unicamente a brevi momenti di piacere e felicità, succeduti sempre, come un ombra, da sofferenza e disillusione. Questo assioma non può essere invalidato, giacché la contingenza è la natura delle cose percepite dai sensi. Il mondo è presieduto dalla legge dei contrari: ciò che nasce deve morire, ciò che sale deve scendere, ciò che si ottiene viene perduto. Ugualmente la notte muta nel giorno, l’estate nell’inverno, la passione diviene noia, l’esaltazione depressione, la forza debolezza, l’arroganza viltà, dando movimento all’infinita e immensa ruota del tempo. Dobbiamo comprendere che non si può sovvertire o combattere una legge che governa un universo, ma che si può convertire la direzione della nostra ricerca. Possiamo spostare il fulcro delle nostre energie mentali ed emotive dal “fuori” al “dentro”, dal contingente all’immanente, indagando la reale natura essenziale della nostra coscienza. Infatti non è la mutevolezza della vita l’origine del nostro problema. È la nostra ignoranza, siamo noi con il nostro cieco e ottuso voler cercare stabilità in ciò che per sua natura è cangiante. Per questo affermo che l’unica risposta reale e definitiva alla nostra inquietudine di vita, come spero di riuscire a dimostrare inequivocabilmente con queste pagine, risiede unicamente all’interno, nello stato più puro e vero della nostra stessa coscienza.

Proviamo pertanto a riflettere su cosa ci accade sin dai primi giorni di vita?

L’educazione emotiva che subiamo (non intendo quella cognitiva: saper leggere, scrivere, conoscere la geografia, la matematica…), nei fatti inquina i nostri cuori e le nostre menti con un’enorme mole di idee preconcette e desideri alienanti, facendoci perdere la possibilità di lasciar crescere e sedimentare il potenziale di serenità e intelligenza che portiamo con noi sin dalla nascita, che traspare evidentemente e potentemente dagli occhi della quasi totalità dei neonati.

I bambini vengono al mondo interiormente indivisi, colmi di fiducia verso le persone e l’ambiente che li circonda. Poi, ahimè, iniziano a subire le molteplici esperienze a cui il background culturale e familiare di riferimento li sottopone, e così, lentamente, iniziano a perdere l’integrità psichica originaria sviluppando una mente plasmata da molteplici condizionamenti.

Ma cos’è una mente condizionata?

È il risultato di una consapevolezza identificata ad esperienze come insulti, violenze, comandi, lodi, pregiudizi sul mondo, le persone, le relazioni. Queste esperienze generano vere e proprie cicatrici psichiche, solchi di memoria, immagini ed emozioni fisse, che si associano alla percezione di sé grazie a quel pensiero che potremmo definire come il “bosone di Higgs” dell’universo psichico dell’individuo: il pensiero ‘Io sono’.

Ognuno di noi ragiona, parla e agisce partendo dal pensiero-sensazione base “Io sono”. Questo pensiero base è sempre attivo ma la maggior parte delle persone ne fa un uso totalmente inconsapevole, come quando l’abitudine ci rende capaci di allacciarci le scarpe parlando con un amico.

In sintesi ciò che confusamente pensiamo d’essere e che ci porta ad agire quotidianamente è un’associazione più o meno conscia (spesso molto inconscia) di memorie sensoriali legate all’idea-sensazione base “Io sono”. Ne consegue una specie di aggregazione d’elementi percettivi fatta di sensazioni, pensieri e memorie: ciò che solitamente definiamo con parole generiche e poco chiare come personalità, identità, interiorità…

Ma proviamo a chiarire meglio questi punti cruciali. Ma prima di farlo ribadisco come sempre la necessità di osservare, sperimentare e verificare in noi stessi quanto qui viene detto. Se non vediamo chiaramente dentro di noi la realtà di queste strutture e dinamiche interiori tutto ciò verrà rifiutato immotivatamente o accettato altrettanto arbitrariamente generando un’ulteriore condizionamento. Prego pertanto te Adelaide, come tutti i nostri lettori, di non accettare o rifiutare senza osservare, riflettere e meditare con grande cura e pazienza.

Veniamo quindi alla nostra indagine. L’idea-sensazione di base ‘Io sono’, quando nel tempo si identifica ad esperienze vissute, sia spontaneamente che coercitivamente, in breve tempo si espande e intensifica aggregando memorie identitarie multiple: “Io sono questo, ho fatto questo, mi hanno detto questo, ho paura di questo, odio quello, voglio quest’altro.”

Quando nella mente del bambino si iniziano a cristallizzare e accumulare le esperienze vissute, lo stato puro della coscienza con cui era venuto al mondo, quello stato che io chiamo ‘Coscienza Originaria’, viene perduto. Si genera così nell’individuo un ‘ramo spurio di coscienza’ che produce uno stato di alienazione interiore caratterizzato da una perpetua sensazione di mancanza e dipendente. La parola “alienazione” è tremendamente adatta per descrivere questo fenomeno. La sua origine latina “alienus” significa infatti “che appartiene ad altri, estraneo, avverso a una cosa, incline a un'altra”. Esattamente ciò che accade alla mente del bambino una volta terminato il processo di identificazione e condizionamento. Si diviene costretti ad appartenere ad altri, avversi a se stessi, alla disperata ricerca della felicità fra le cose impermanenti del mondo, che come dicevo precedentemente in sé non avrebbero nulla di male se venissero vissute connessi alla “sorgente”, ma divengono tremendamente disperanti quando sperimentate attraverso l’oblio della coscienza.

La nostra “educazione”, giacché di tutto ciò è inconsapevole, non aiuta il bambino a crescere mantenendo e approfondendo la sua innata unità con la realtà della ‘Coscienza Originaria’, imparando a divenirne “geloso” e consapevole custode. Tutt’altro, la nostra manchevole e ignorante “educazione” fa sì che il bambino divenga il più rapidamente possibile un soggetto competitivo, astuto, ambizioso, impaurito e ostile all’ambiente e alle persone che lo circondano.

La causa prima di questo ‘oblio interiore’ che accomuna più o meno intensamente praticamente tutta l’umanità, sta nell’identificazione della consapevolezza con l’idea “Io sono questo corpo”. Come prima cosa nel bambino si genera il pensiero-sensazione “Io sono” come riflesso delle sollecitazione del mondo esterno (la madre, o chi ne fa le veci, è il primo agente). Ciò è naturale e necessario all’evoluzione psichica ed emotiva del piccolo, il bambino deve sviluppare l’idea “Io sono”, deve crearsi un’identità, diciamo essenziale, per poter riconoscere, gestire e sintetizzare sensazioni, emozioni, pensieri e parole. Ma da ciò non dovrebbe seguire l’identificazione dell’“Io sono” con i ‘riflessi di immagine di sé’ che provengono dal mondo esterno più o meno invalidanti e deformanti: “Io sono e devo farmi notare per essere amato, io sono incapace, io sono uno che ha fallito, io sono il migliore e devo attaccare per divenire ed espandermi, io devo avere questo e quello per essere felice, per essere lodato, stimato…” Infinite sono le idee condizionanti che un’errata educazione e un malsano ambiente aggregano all’idea-sensazione di base “Io sono” che sorge spontaneamente come fondamento della crescita della mente di un individuo.

Se l’idea “Io sono” non divenisse il gancio a cui appendere paure e pensieri identitari, il bambino, attraverso l’aiuto di una sana educazione, divenendo adulto si risveglierebbe senza gradi sforzi e sofferenze alla natura incondizionata della ‘Coscienza Originaria’, evitando così di generare e sviluppare abnormemente quel ‘ramo spurio di coscienza’ che definisco ‘singolarità’ (in matematica il termine singolarità indica in generale un punto in cui un ente matematico, per esempio una funzione o una superficie, “degenera”, cioè perde parte delle proprietà di cui gode negli altri punti generici, i quali per contrapposizione sono detti “regolari”. Tale termine mi pare particolarmente adatto per indicare anche lo stato di illusoria scissione in cui cade la consapevolezza quando si identifica alle forme fisiche-mentali “degenerando” rispetto alla “regolarità” dello stato essenziale ).

Se non frammentassimo la mente e i cuori delle persone, ogni individuo verrebbe al mondo per godere la vita in pace con gli altri e l’ambiente, amando, creando, lavorando per il bene di tutti in armonia con il suo destino, per poi reimmergersi quieto e pago fra le “braccia” della ‘Coscienza Originaria’ giacché tutto viene da Lei e tutto ritorna in Lei, anzi, bisognerebbe dire che tutto è sempre e solo in Lei.

Spesso, ascoltando queste parole molti non comprendono come sia possibile sostenere che in realtà tutti noi viviamo immersi nella pace della ‘Coscienza Originaria’ quando ciò che ci circonda pare dimostrare l'esatto contrario. Molti ritengono il male e l'ignoranza le qualità peculiari della natura umana, i mattoni con cui è fatto il mondo.

Ma se abbiamo ben visto e compreso che i condizionamenti che limitano e frammentano la nostra coscienza, che nella sua essenza è e rimane pura e indivisa, sono illusori, impermanenti e superficiali, “rami spuri di coscienza”, risulta che il male, il dolore e l'ignoranza in cui sentiamo di vivere hanno una strana forma di esistenza, sono simili ai sogni che la mente produce nella notte senza il minimo coinvolgimento della nostra volontà. Sino a quando dormo il sogno esiste, eccome, ma non posso dire che un sogno sia realtà. Il sogno ha una sua forma peculiare di esistenza, certo, ma non lo definiremmo reale con la stessa valenza che diamo in genere a questo termine.

Reale, infatti, nel senso comune, potremmo dire ciò che è percepibile da tutti, mentre irreale è un particolare costrutto della singola mente di ogni persona. Potremmo anche dire che reale è ciò che ci unisce, mentre irreale è ciò che ci isola. I sogni della nostra mente sono, in questo senso, le cose meno reali, come i condizionamenti delle memorie che ci portiamo appresso e che costituiscono la causa fondamentale della nostra separazione dalla ‘Coscienza Originaria’. Infatti non v'è grande differenza fra i sogni che facciamo mentre dormiamo e il flusso di pensieri ed emozioni che ci accompagnano durante il tempo della veglia. Sogniamo di notte e, un po' meno profondamente, sogniamo di giorno.  Il nostro compito consiste quindi nel porre fine al processo onirico della coscienza dato dall'identificazione con le memorie del pensiero - emozione. La ‘Coscienza Originaria’ è come il sole: può essere coperta dalle nuvole dell’ignoranza, ma non appena il vento del desidero di verità e libertà inizia a soffiare, i suoi raggi ritornano a scaldarci, oltre il tempo, lo spazio e le forme contingenti percepite dai sensi.

Provando a fare un esempio, è come se un pazzo girasse per le strade picchiando tutte le persone vestite di nero che incontra perché crede che gli portino sfortuna. Quel che pensa non possiamo dire sia reale, eppure dei pensieri irreali generano azioni e conseguenze reali, disastrose e visibili da tutti. Allo stesso modo, il condizionamento collettivo, più o meno dissimile fra tutti noi, che ci porta a credere d'essere entità scisse dal corpo indiviso dell'esistenza, genera di continuo azioni reali devastanti che ricadono in realtà sempre sulla totalità. Per questo i mistici di ogni tempo e religione hanno sempre sostenuto che la sofferenza di un singolo individuo è la sofferenza di ogni altro essere umano, e così per ogni cosa, positiva o negativa, che accade nell'universo, sia a livello fisico che psichico.

Il massacro di milioni di animali ogni anno, le guerre (dimenticate o meno), le violenze personali e di gruppo, la devastazione degli ecosistemi, sono tutte azioni che nelle loro conseguenze ricadono su tutti, sia come influenza immediata che come risultati futuri. Ciò è ovvio ed evidente per quanto riguarda il piano fisico (se inquino gli oceani l’intero ecosistema ne subirà i danni), ma lo è altrettanto a livello coscienziale. Il guaio è che persone capaci di percepire l'unità fondamentale della Coscienza non ve ne sono ancora molte.

Quel che chiamiamo materia non è altro che la percezione che la coscienza ha di se stessa quando passa attraverso un corpo-mente generando la percezione di un ‘interno’ e di un ‘esterno’ il cui confine è per l’appunto il corpo-mente. La ‘Coscienza Originaria’, passando attraverso un corpo-mente diviene autocosciente grazie alle percezioni sensoriali e alla memoria in uno specifico punto dello spazio e del tempo.

In sintesi potremmo dire che la ‘Coscienza Originaria’, nel punto in cui entra in contatto con un corpo si immerge in una sorta di sogno prodotto dall’identificazione con i processi mentali-sensoriali. Questa specie di nodo composto da consapevolezza, pensiero e corpo lo abbiamo chiamato ‘singolarità’ o ‘egoicità’ ed è causato dal forte impatto che le esperienze sensoriali esercitano sulla consapevolezza del bambino che prima della nascita sussiste in uno stato di pura essenza, né conscio né inconscio, privo di qualsiasi forma di conoscenza quanto di ignoranza. Il feedback del mondo esterno, (percezioni sensoriali, definizioni verbali di significato e valore provenienti da genitori, parenti, insegnanti…), genera l’autocoscienza: consapevolezza di essere qualcosa. Non più quindi un puro stato di consapevolezza ma la consapevolezza di un qualcosa che è definito giocoforza da fattori esterni, giacché la consapevolezza in sé non può avere alcuna conoscenza essendo “pura capacità di conoscenza”. Così nasce la coscienza individuale detta anche identità. So che questo punto può suonare un po’ complicato ma se lo mediteremo con pazienza ci si rivelerà in tutta la sua semplice evidenza.  

Una sana educazione dovrebbe pertanto aiutare il bambino a mantenere un’identità di sé aperta, capace di riappropriarsi consapevolmente del sua stato originario.

La sensazione-pensiero “Io sono” (essenza della coscienza individuale) dovrebbe rimanere unicamente un ponte, una porta sempre aperta fra la dimensione immanente e quella contingente delle forme sensoriali, evitando in ogni modo di sviluppare quella percezione di sé che fa degenerare l’”Io sono” nella ‘singolarità’, quell’entità illusoria isolata perennemente tesa ad espandersi per rafforzarsi e sopravvivere.

Attraverso queste parole ho tentato di descrivere forse più tecnicamente di altre volte la fenomenologia che caratterizza il viaggio dell’umanità dalla ‘singolarità’ sino al risveglio alla “Coscienza Originaria”. Questo risveglio può accadere unicamente grazie ad un profondo desiderio di comprendere se stessi e la vita nel suo insieme attraverso l’esercizio della consapevolezza. Un desiderio che il più delle volte proviene dall’intensa sofferenza che inevitabilmente produce nel tempo la ‘singolarità’ attraverso il suo continuo oscillare fra brevi piaceri e lunghi affanni.

Le osservazioni e gli spunti di indagine che quest’oggi ho condiviso, come sempre ribadisco, non sono una teoria da imparare o una serie di pensierini più o meno ben riusciti a livello filosofico da dibattere in serate per intellettuali. Per me rispecchiano il reale accadere delle nostre vite, e come tali le si dovrebbe vagliare e sperimentare direttamente, personalmente, sulla propria “pelle interiore”. Se un uomo afferma che l'acqua bolle a cento gradi, è inutile mettersi a discutere e filosofeggiare, bisogna prendere un termometro, una pentola e accendere un fuoco: bisogna sperimentare. Allo stesso modo, se qui si afferma che la nostra coscienza ora come ora vive in una sorta di mondo onirico da cui va risvegliata per porre fine ad ogni paura e miseria, dobbiamo trasformare noi stessi in un laboratorio, in un esperimento vivente, eliminando condizionamenti, proiezioni e allucinazioni varie. Dobbiamo imparare a generare una distanza interiore dai pensieri e dalle emozioni che ci permetta di vedere le cose per come sono realmente. È a questo punto che la meditazione trova il suo pieno significato nella forma dell’’osservazione attenta e passiva’, la disposizione interiore più efficace per vedere, comprendere e sciogliere ogni identificazione. Facendo un ulteriore parallelismo con le scienze empiriche potremmo definire l’’osservazione attenta e passiva’ lo strumento d’indagine per eccellenza atto a curare il male dell’identificazione. Ricordo per chi volesse approfondire che ho parlato ampiamente e dettagliatamente dell’’osservazione attenta e passiva’ nel libro “Meditazione”.

Un caro saluto,
Pier
 

Tags: Equilibrio interiore, Pace della mente

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Commenti   

# adelaide 2012-03-27 22:18
Caro D. il tuo commento e' stato molto chiaro,esausto, e condivido tutto.
Solo mi e' parso di capire che tu non credi ad un Dio come Entita' a se stante,come Unica Mente Divina,
Padre e Creatore di tutto cio' che e'.
Tu dici che Dio e' sinonimo di Amore,ma da dove e' venuto fuori questo Amore?Da dove e come si e' formato,creato, non solo il genere umano,ma l'Infinito,l'im menso,le galassie,e tutto cio' che noi non possiamo e sappiamo neanche immaginare cosa ci possa essere al di la' del gia' tanto scoperto..Sappi amo che non esiste il vuoto,il nulla,
e non sapremmo neanche che esiste lo spazio,se non fosse "occupato" o riempito da cose..come pure il silenzio,se no fosse assordato dai rumori..
e l'aria,che ci da la vita.Ma al di la di cio',come pensi si sia creato il Tutto,se il niente non esiste?
Cmq,onde evitare questo irrrisolvibile girotondo di domande,io penso che in qualunque modo sia stato,non puo' essere opera di un caso,deve esserci inevitabilmente un'Intelligenza Superiore,
per creare tanta perfezione.Allo ra io direi che anche la perfezione e' Dio,ma la perfezione puo' essere sinonimo di Amore?E cosa ci da la certezza,ponend o che un Dio come Reale Entita' non esista, che il tutto possa essere creato e predisposto nel e all'Amore? Se e' pur vero Che questo tanto rinnegato e irrangiungilbil e Amore,e' dentro e intorno a noi,che v'e' l'ha messo?come e
da chi o cosa e' stato inserito nell'Intento e nel DNA
della nostra natura umana terrena?

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