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Storie e racconti

Come convivere con i nostri sensi di colpa?

CieloPaola ha scritto: Come uscire davvero dalle nostre carceri? E quando l'uscirne comporta effetti a dir poco spiacevoli sulle persone che ci vogliono bene e che pur inconsapevolmente hanno tutto l'interesse a mantenerci incarcerati? E quando evadere vuol dire "fare del male", magari irreparabile, al nostro più caro prossimo? E quando il nostro più caro prossimo è depresso o malato e delle nostre "evasioni" ha un sommo timore? Come convivere con i nostri postumi sensi di colpa?
Grazie Pier
Paola 

Pier ha risposto: Cara Paola, vorrei raccontarti una storia… 

Due uccellini, durante una fredda e nebbiosa notte d’inverno, per paura di finire accidentalmente fra le grinfie di un gatto, decidono di bussare alla porta di una casa per chiedere rifugio. Vengono accolti da una tenera e simpatica vecchietta, che colma di gioia li riceve con un grande sorriso. Dopo averli rifocillati e riscaldati, l’anziana signora spiega loro di aver da poco perso il suo amato canarino. Dice anche di aver conservato la splendida gabbietta dorata in cui viveva. Infine chiede ai due uccellini se desiderano rimanere a vivere con lei, colmando così il grande vuoto che la morte del suo canarino le ha procurato. Spiega che qualora decidessero di restare non avrebbero più alcun problema di procurarsi cibo o di difendersi da animali predatori. Vivrebbero per sempre al caldo e al sicuro, accuditi con infinito amore e rispetto. I due uccellini, dopo qualche minuto di riflessione, considerando il lungo inverno che li attende e i molti possibili pericoli, accettano la proposta.  

I due animaletti, dopo qualche giorno di convivenza serena, guardando il limpido e azzurro cielo attraverso le sbarre della gabbietta e attraverso il vetro della cucina, iniziano a sentire una tremenda nostalgia dei giorni in cui, portati dalle correnti, volteggiavano liberi ed estatici lungo le sconfinate rotte della volta celeste. A quel punto Gimmi, il più giovane dei due uccellini, dice a Umur, il suo compagno ormai vecchio: “Umur, io non sono più sicuro della scelta che abbiamo fatto. È vero, qui non dobbiamo stare attenti ai gatti, non dobbiamo faticare per procacciarci il cibo, ma è una noia mortale, è una maledetta prigione. Sento di non avere più alcun significato per cui vivere. Noi siamo nati per danzare fra i venti, per cantare dalle cime degli alberi la gioia dell’aurora e la poesia del tramonto. Cosa facciamo qui dentro? Abbiamo commesso un grande errore!” Umur risponde: “Caro Gimmi, devi crescere ancora un po’, allora capirai la benedizione che abbiamo avuto. Possiamo cantare quanto vogliamo per la nostra padrona. Possiamo saltare da un trespolo all’altro tutto il giorno senza prendere la pioggia, senza patire il freddo o rischiare di essere sbranati da qualche animale famelico. Io sto ormai invecchiando, sono stanco e malato, non fare pensieri infantili ed egoistici, non sputare sul piatto dove mangi, non ferire chi ci ha accolti con tanto amore e rispetto”. Gimmi ribatte: “Umur, io non sputo sul piatto dove mangio, ma non posso nemmeno accettare di vivere dominato da qualcuno, fosse anche che la sua dominazione venga da un atto d’amore e rispetto. Devo dire, però, che se ci avesse amato e rispettato in piena consapevolezza e con animo forte e privo di bisogni e paure, non avrebbe accettato di assecondare le nostre puerili paure e incertezze, ma molto più probabilmente avrebbe cercato di ricordarci qual è la nostra vera natura, chiudendoci la porta in faccia e facendoci vergognare per aver anche solo pensato di voler abbandonare l’infinita libertà e magnificenza che l’esistenza ci aveva donato permettendoci di vivere sopra le teste e i problemi di tutto e di tutti. Umur, noi siamo nati per volare e per morire cantando la nostra ultima lode al sole e alle stelle. Non siamo fatti per stare in una gabbia, per quanto comoda e sfavillante possa essere!”

L’anziana signora, che si era nascosta dietro la porta della cucina per ascoltare il dialogo fra i due, dopo aver udito queste ultime parole di Gimmi, tremendamente ferita entra nella cucina piangendo ed esclamando: “Miei amati amici, perché mi volete abbandonare, io vi ho dato tutto e non ho chiesto nulla in cambio, perché mi volte fare questo, perché volete privarmi del vostro canto e della vostra presenza?” Gimmi allora risponde: “Mia amata signora, io non ti voglio privare del mio canto, né della mia presenza, voglio solo tornare a vivere la vita per cui sono nato, e nel fare questo ti voglio anche dire che se tu iniziassi ad uscire più spesso da questa tua gabbia che chiami casa, potresti sentire il canto di migliaia di miei fratelli e potresti stare alla loro presenza in ogni momento. Non è il canto sempre più spento di due prigionieri che potrà alleviare le ferite del tuo cuore, ma sarà sempre e solo l’inno di gioia dell’essere libero e forte che ti spronerà a vivere altrettanto libera e forte”.

La dolce vecchietta, commossa da queste ultime parole, apre la porta della gabbietta dorata dicendo: “Mio piccolo amico, tu parli di orizzonti troppo vasti e temerari per una persona come me, ma comprendo anche quale crimine sarebbe cercare di tenere soffocato un così intenso desiderio di vita. Con il cuore infranto io ti riconsegno alla tua vera dimora, e se anche il tuo compagno vorrà partire con te io non mi opporrò”. Al sentire queste parole il vecchio Umur esclama: “Ma sei impazzito Gimmi! Se tu vuoi tornare a una vita selvaggia e priva d’ogni sicurezza, fallo pure, ma non coinvolgere anche me nelle tue follie e nei tuoi adolescenziali desideri! Vattene e non farti più vedere!”

Gimmi, con gli occhi gonfi di lacrime, salta fuori dalla gabbia, e voltandosi per l’ultima volta esce veloce come un fulmine dalla finestra della cucina. Ma dopo aver volato solo per qualche centinaio di metri i suoi occhi tornano sereni e la tristezza e il dolore hanno già lasciato il posto all’estasi e alla compassione per tutti coloro che ancora vivono in qualche buia e angusta prigione.

L’inverno è ormai finito e le belle giornate si fanno sempre più frequenti. Umur, dalla solita finestra della cucina dell’anziana signora, guarda con un po’ di nostalgia i suoi fratelli volare alti nel cielo. Chiede allora alla sua padrona di mettere sul terrazzo la gabbietta per potersi godere almeno un po’ la tiepida aria primaverile. Dopo pochi istanti, da un ramo che quasi raggiunge la terrazza, con un agile balzo, un gatto affamato piomba sulla gabbietta dorata e con un colpo di zampa uccide il vecchio Umur. L’anziana signora, richiamata dal frastuono, appena comprende l'accaduto, scoppia in un pianto disperato.

Solo dopo un tempo che pare infinito, distratta da una meravigliosa melodia, la vecchietta alza lo sguardo verso il ramo più alto dell’antico olmo che si erge nel giardino, dove Gimmi, fiero e forte, sta cantando rapito parole d’amore e di preghiera accompagnato da tutti gli animali del cielo. In quel momento gli occhi lucidi e sofferenti della donna si abbandonano in un dolce sorriso.

Ecco allora che un gufo, che ha assistito a tutta la scena, esclama: “Solo chi vive sempre alla ricerca delle più alte vette e della più profonda libertà ha il potere di trasformare in un sorriso anche la pena più grande!”.

L'anziana signora, stringendo fra le mani il cadavere del sua amato uccellino, grida queste ultime parole: “Mio amato Gimmi!, tu che mi hai abbandonata e tanto ferita, ora, nel momento del mio più grande dolore, sei anche l’unico capace di lenire la mia disperazione. Oggi tu mi insegni che a volte è necessario ferire chi amiamo, per poi poterlo veramente guarire!”

Con affetto,
Pier
 

Tags: Ricerca della felicità, Pace della mente

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Commenti   

# Sere290392 2012-02-13 15:12
E' una storia bellissima, peccato che davvero poche persone siano riconoscenti come la vecchietta. Mi ci metto in primis, il mio viaggio interiore è appena a una svolta...

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