Falliti o sfigati: l’economia dell’avidità
Se riflettiamo ritengo non si possa fare a meno di notare come tutti noi, chi più chi meno, siamo stati lentamente avvelenati da questo sistema di valori malati, dall’idea, direi il dogma, che la realizzazione economica equivale alla realizzazione “personale totale”, e che questa, oltretutto, sia pienamente nelle nostre mani, nostra totale responsabilità. Se non riesci economicamente sei un fallito perché il vero uomo sa come cogliere le occasioni, sa come sfruttare anche le situazioni peggiori. Il vero “self made man” trasforma anche il letame in oro. Se non ci sei riuscito è un problema tuo, sei tu l’incapace, il fallito!
Pochi mesi fa, nella chiesa di fronte casa mia, celebravano i funerali di un trentacinquenne. Tumore, dodici mesi e ciao a tutti: genitori, moglie e figlia di tre anni. Quest’uomo cos’è agli occhi della nostra cultura del capitale avido e dell’idea imperante di realizzazione personale? Un fallito, uno sfigato o un errore della natura? Probabile la seconda, giacché la cultura del capitale avido conosce solo due parole: fallito e sfigato. La prima, fallito, la applica a tutti coloro che sono ciò vivi e sani ma non dotati dei requisiti base: macchina di grossa cilindrata, piscina, villa, viaggi frequenti in prima classe, vestiti firmati, potere… La seconda parola, sfigato, la appone a tutto ciò che è morto o non biologicamente adatto a combattere per raggiungere i suoi obbiettivi. Milioni di cinesi, indiani, africani, sudamericani, e sempre più occidentali, non sono altro che sfigati o falliti. Se questo è lo schema culturale entro cui si muove il pensiero delle persone che ritenute, o che si ritengono, maggiormente realizzate e capaci cosa ci possiamo aspettare dal futuro, che economia riusciremo mai a portare avanti?
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